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La formazione del carattere

di Annica Cerino

La formazione del carattere: l’armatura carattero-muscolare


Negli anni Trenta Wilhelm Reich, allievo di Freud, elaborò la sua analisi del carattere, teorizzando che i traumi e i conflitti si accumulassero nel corpo, originando quella che lui definì “corazza caratteriale”.


Secondo Reich la corazza ha origine dai limiti che vengono imposti al bambino sin dalla più tenera età; essa è un modo di difendersi dal dolore, una sorta di maschera che interessa l’intero corpo, dietro la quale l’individuo tende a nascondersi per mostrare un’immagine di sé che sia accettata nel contesto in cui vive. Difendendo il soggetto, la corazza ha la funzione di mantenerne l’equilibrio interiore, tuttavia limita anche fortemente l’espressione del sé più autentico.


La corazza interessa tanto la psiche quanto il corpo, pertanto alla base della teoria di Reich vi è l’idea di una sostanziale unità psicofisica: le emozioni negative, che turbano la mente, finiscono con il manifestarsi a livello somatico.


Reich individuò sette segmenti della corazza, che corrispondono a sette sezioni del corpo nelle quali le emozioni restano bloccate, determinando prima di tutto la formazione di “cinture” costrittive che opprimono il soggetto e, di conseguenza, una frammentazione del corpo stesso e una mancata comunicazione tra le varie parti.


I sette segmenti sono: oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale e pelvico.


Quando le emozioni bloccate riguardano il segmento oculare, generalmente il soggetto presenta uno sguardo fisso, vuoto, che si dovrà tentare di rendere più mobile e vivo. Le emozioni che hanno generato il blocco del segmento oculare spesso sono la paura e la rabbia.


Il segmento orale comprende bocca, gola e mento. Qui si bloccano emozioni antiche, relative ad atti come quelli del succhiare o del gridare.


Il segmento cervicale, che comprende i muscoli del collo e la lingua, mette in contatto la testa e il resto del corpo; qui si bloccano emozioni come la rabbia e il pianto, che spesso vengono represse con forza dal soggetto, quasi “inghiottite”.


La cintura toracica trattiene emozioni violente quali il pianto disperato, il desiderio e la rabbia incontenibile. Il torace generalmente si presenta contratto in posizione di inspirazione, infatti il soggetto ha difficoltà a espirare pienamente.


Il segmento diaframmatico divide il corpo in due parti, dal momento che corrisponde a stomaco, fegato e plesso solare. Si tratta di una sezione molto importante, dove la corazza è molto difficile da infrangere.

I blocchi a livello addominale e pelvico, infine, sono connessi alla difficoltà di lasciarsi andare alla sessualità e alle emozioni più viscerali e intense; essi si manifestano soprattutto attraverso la rigidità del bacino.


Sbloccare le emozioni che danno origine alla corazza vuol dire riuscire a esprimersi finalmente in maniera piena, liberandosi di quella gabbia entro la quale ci si è rinchiusi per evitare di provare dolore.

 

Grounding e respirazione

Il grounding in bioenergetica è una condizione da perseguire, la cui ricerca inizia dalla respirazione. Respirare nella maniera corretta, infatti, è il primo passo per essere “radicati”.


Ma che cos’è in effetti il grounding e qual è la sua connessione con la respirazione?

Esso può essere definito come uno stato di connessione profonda con il proprio corpo, ma anche con la terra che sorregge il corpo stesso; sperimentare una tale condizione permette di sentirsi parte integrante di un tutto più ampio, di essere radicati, appunto, in un luogo e in uno spazio, qui e ora. Questo radicamento, quindi, è legato alla percezione del momento presente.

La sensazione dell’essere radicati ha inizio dai piedi, che sono la parte del corpo che entra in contatto immediato con la terra.


Il grounding permette di sentire una connessione fisica, ma anche e soprattutto energetica tra il corpo e la terra. Camminare facendo attenzione ai propri passi, percependo pienamente le sensazioni del contatto tra la pianta del piede e la superficie su cui poggia è senza dubbio un ottimo esercizio di radicamento.


Se i piedi risultano importanti in questo processo, non di meno lo è la respirazione, che può condurre a una maggiore consapevolezza rispetto al proprio corpo.


La respirazione può essere considerata il punto di partenza nel processo di ricerca del grounding; è necessario, secondo la bioenergetica, prestare piena attenzione al modo in cui si respira.


Essere consapevoli della propria respirazione naturale aiuta la persona a individuare i blocchi che limitano il libero fluire del respiro stesso e che corrispondono a blocchi sviluppatisi in seguito a conflitti emotivi che hanno interessato l’individuo durante la crescita.


Il respiro naturale dovrebbe essere profondo, addominale, come un’onda che procede dal ventre alla bocca nell’ispirazione e dalla bocca al ventre al momento dell’espirazione. Quest’onda non dovrebbe avere interruzioni, tuttavia, in presenza di conflitti emotivi, a seguito di un’attenta analisi della respirazione, è possibile individuare delle discontinuità, alla cui causa bisogna risalire per comprendere e risolvere il problema.


Quando tutto funziona bene e non ci sono blocchi l’onda del respiro, secondo quanto dice Alexander Lowen, dovrebbe attraversare l’intero corpo, fino a giungere alle gambe e poi ai piedi, punto di collegamento con il suolo. Giunta ai piedi l’onda dovrebbe invertire la propria direzione e generare la chiara sensazione di essere sostenuti dalla terra.


Una respirazione senza interruzioni, dunque, fluisce attraverso tutto il corpo, mettendolo in collegamento con la terra attraverso le estremità inferiori.


Quando sono presenti tensioni, ad esempio nella zona della gola o del collo, questo movimento non avviene in maniera fluida e il risultato è una sensazione di sradicamento. Solo mediante l’esercizio è possibile diventare consapevoli del proprio respiro, individuare i blocchi e, in seguito, intervenire per scioglierli e sentirsi finalmente radicati nel corpo e nello spazio intorno.

 

Pratica bioenergetica: auto-esplorazione ed espressione di sé

La pratica bioenergetica consiste essenzialmente in un processo di auto-esplorazione finalizzato alla piena espressione del proprio sé. Conoscersi a fondo, infatti, vuol dire anche saper esprimere se stessi, sapere quali aspetti di sé sono maggiormente rappresentativi e aderenti al proprio nucleo più profondo.


Alla base del percorso di auto-conoscenza vi è una presa di coscienza radicale, quella secondo la quale ogni individuo è fatto di mente e corpo e che questi due aspetti sono strettamente connessi tra di loro. Per raggiungere l’equilibrio e il benessere è necessario prestare la dovuta attenzione a entrambi, senza lasciare che l’uno prevalga sull’altro.


In bioenergetica il corpo è lo specchio fedele della mente, ai blocchi fisici corrispondono blocchi emotivi, generati da conflitti e traumi risalenti per lo più all’infanzia. Imparare a riconoscere nel proprio corpo tali blocchi è essenziale per poter risalire alla causa e, dunque, conoscere meglio la propria mente. Esplorazione fisica ed esplorazione interiore procedono di pari passi.


A ogni blocco, in genere, corrisponde una parte di sé che non viene vissuta pienamente, in quanto, con ogni probabilità, è stata criticata, negata, oppressa durante l’infanzia e, quindi, semplicemente, non ha trovato un ambiente consono al suo sviluppo. Il fine dell’auto-esplorazione in bioenergetica è proprio quello di individuare le emozioni non vissute, perché ritenute vergognose, inadatte, criticabili etc. e lasciarle finalmente libere, conferendo loro piena dignità e diritto alla vita.


La parte più autentica di ogni individuo spesso subisce questo processo di “censura” da parte del mondo esterno, una censura che è tanto più efficace quanto più è intensa e protratta nel tempo. Molto spesso il nucleo profondo dell’individuo tende a nascondersi, a proteggersi dietro una maschera, al punto tale che l’individuo stesso perde di vista il suo vero sé. È questo nucleo essenziale, spesso fragile, che la pratica bioenergetica mira a portare alla luce, perché ciascuno impari ad accettarlo e a viverlo pienamente.


Esprimere le proprie emozioni più profonde, anche e soprattutto attraverso il corpo, attraverso la sua motilità, porta a mettere da parte la frustrazione e il senso di incompiutezza che attanagliano, invece, chi le seppellisce dentro di sé.


Auto-esplorarsi vuol dire anche imparare a far interagire corpo e mente, a farli procedere all’unisono, affinché i movimenti risultino sempre spontanei; un eccessivo controllo dell’io, infatti, potrebbe determinare irrigidimento, a causa del trattenimento delle emozioni, oppure flaccidità, qualora ci sia una negazione del sentire.


La pratica bioenergetica promuove un controllo dell’io che, tuttavia, non intacchi la spontaneità; l’individuo deve essere pienamente consapevole delle emozioni che sta vivendo, non deve farsi sopraffare da esse, ma, allo stesso tempo, deve lasciarle libera di esprimersi all’esterno. 

 

I tipi caratteriali

Lo psicoterapeuta Alexander Lowen, allievo e paziente di Wilhelm Reich, riprese le teorie del maestro, ampliandole e perfezionandole.


Lowen, considerato generalmente il padre della bioenergetica, partendo dalla stessa base di Reich – l’unità tra mente e corpo – riuscì a individuare delle precise caratteristiche somatiche, riconducibili a blocchi emotivi derivanti dall’infanzia. Più precisamente Lowen individuò cinque tipologie caratteriali, che denominò: schizoide, orale, psicopatico, masochista e rigido.


Come ebbe a dire lo stesso Lowen, negli ultimi anni della sua attività, i tipi caratteriali passano sempre in secondo piano rispetto alla singolarità di ogni individuo, ciò vuol dire che è particolarmente difficile trovare nella realtà i cinque caratteri allo stato puro; non di meno essi rappresentano un valido punto di riferimento per comprendere il mondo emotivo partendo dall’analisi del corpo.


La struttura fisica di ogni tipo caratteriale è da considerarsi una forma di difesa, che ha un corrispettivo a livello mentale, generata da un trauma subito durante l’infanzia.

Il tipo schizoide ha generalmente un corpo alto e longilineo e le sue articolazioni sono come congelate. La pelle è chiara, smorta, spesso fredda e nel complesso il fisico è privo di armonia. In particolare vi è una frattura ideale tra la testa e il resto del corpo. Il tipo schizoide, infatti, ha subito la ferita del rifiuto durante l’infanzia, che l’ha condotto a chiudersi nel suo mondo, dissociandosi dalla realtà circostante.


Il tipo orale è caratterizzato da arti all’apparenza molto fragili, le gambe sembrano quasi non riuscire a sostenere il peso del corpo; egli ha, inoltre, occhi teneri, che paiono implorare amore. Questo carattere sente il costante bisogno di essere sostenuto, non è indipendente, perché soffre per essere stato deprivato dell’amore durante l’infanzia.


Il tipo psicopatico è caratterizzato da un corpo tonico, flessibile, con il quale egli ha un rapporto narcisistico. Questa tipologia caratteriale nega a se stesso la possibilità di provare sentimenti e ha un bisogno fortissimo di controllare gli altri. Così facendo non si rende conto di diventare, a sua volta, dipendente da essi. Il carattere psicopatico è originato dal rapporto con un genitore narcisista, che lo pone in conflitto con il genitore dello stesso sesso. Ne risulta uno scontro dal quale non può che uscire perdente.


Il tipo masochista ha generalmente un corpo tarchiato e muscoloso; egli ha un atteggiamento remissivo, che tuttavia nasconde astio. Non si oppone a nulla, ma aspetta che siano gli altri ad agire per poter reagire anche in maniera violenta. Questo carattere è originato dall’oppressione subita durante l’infanzia.


Il tipo rigido, infine, teme di lasciarsi andare, quindi non si concede il diritto di amare, in quanto da bambino è stata inibita la sua ricerca di piacere e ha percepito come debolezza l’espressione dei sentimenti. Tra i cinque caratteri il rigido è quello che fisicamente si presenta più equilibrato, le parti del corpo sono ben armonizzate, ma appaiono, appunto, irrigidite, come se volesse trattenere dentro di sé le emozioni.

I cinque tipi caratteriali individuati da Lowen risultano ancora oggi un utilissimo punto di riferimento per individuare le principali corrispondenze tra blocchi fisici e traumi emotivi.

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