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Immagine, immaginazione e immaginario

di Annica Cerino

L’espressione “Arte Terapia” deriva dall’unione della parola “arte”, che designa l’uso dell’arte e dei suoi materiali, e la parola “terapia”, che sta a significare, secondo l’etimologia greca (therapeìa), “prendersi cura di”.

 

La metodologia dell’Arte Terapia in generale consiste nel decodificare l’arte grafica o l’espressione del corpo con finalità preventive, riabilitative e sempre più spesso come mezzo per fare un lavoro di introspezione e dunque di evoluzione personale.


La metodologia di fare Arte Terapia del Centro Sarvas in particolare non è rivolta all’interpretazione psicologica delle opere o all’addestramento artistico, ma all’osservazione e all’ascolto empatico dell’immagine, che è lo specchio delle vicende interiori della persona; essa ha la funzione di far affiorare il proprio mondo interno, il vissuto, parti di sé sofferenti, le proprie aspirazioni, le paure e di aiutare l’individuo a trovare la sua strada per l’autorealizzazione.

La funzione dell’immagine

L’Arte Terapia è una metodologia di relazione terapeutica a mediazione artistica. Gli strumenti che si utilizzano e che ne sono anche i cardini sono, da una parte, i materiali artistici e, dall’altra, la relazione tra l’arte terapeuta e il cliente.


In Arte Terapia l’immagine comunica non solo come siamo nelle relazioni, come ci percepiamo, la rappresentazione che abbiamo di noi e come ci sentiamo nel mondo, ma può comunicare anche la nostra sofferenza, sia fisica che psichica.


Quando l’immagine emerge, spontanea o evocata,  dal nostro mondo interiore, condensa in sé il nostro particolare modo di rappresentarci il mondo e noi stessi, così come l’abbiamo interiorizzato e determinato a partire dalla nostra storia personale e relazionale, conscia e inconscia. Spesso l’immagine rende tollerabile e accettabile l’espressione di quanto era intollerabile alla coscienza e favorisce la comunicazione di ciò che non si riesce a esprimere con le parole.


Spesso l’immagine che emerge, soprattutto in un contesto relazionale terapeutico, diventa la contenitrice e la mediatrice di uno stato emotivo, di un vissuto difficile, di una sofferenza esistenziale, come l’angoscia, la depressione, e queste diventano più facilmente tollerabili e comunicabili se espresse attraverso una metafora.

L’immagine è dunque una metafora, è simbolica, in quanto si sovrappone un contenuto significativo per il soggetto a una forma che ha la funzione di esprimere ciò che a parole non si riesce a comunicare.


Nella relazione diventa importante “ascoltare” empaticamente l’immagine dell’altro, la sua simbolica e accogliere con rispetto il suo linguaggio immaginativo, che gli permette di stabilire una relazione col mondo esterno, di comunicare la sua esistenza, di guardare la sua sofferenza, per poterla poi successivamente elaborare.


La relazione è bidirezionale ed è dotata di una squisita circolarità, in quanto l’arte terapeuta, nell’entrare nel mondo personale e immaginativo dell’altro, in qualche modo crea un movimento che lo trasforma intimamente nel suo personale mondo immaginativo.


L’immagine, che come si è visto è uno dei cardini dell’Arte Terapia, non è qualcosa che viene dall’esterno,  appartiene  al nostro unico e personale mondo immaginario, che è come un grande magazzino di immagini che ha luogo nell’inconscio, quella parte di cui siamo poco o per niente consapevoli. Quando si riversa sulla tela o sul foglio un disegno, quel disegno è qualcosa che già esisteva dentro di noi, già ci apparteneva, e noi, attraverso il corpo, lo abbiamo tradotto in qualcosa di concreto. L’essenza dell’immagine è far vedere qualcosa.

L’immagine innata

Esiste però un’immagine unica e speciale che vive  dentro di noi fin dal momento del concepimento, un’immagine primigenia, ancestrale, l’essenza primordiale che ci racconta chi siamo ancor prima di diventarlo.

James Hillman, analista junghiano e divulgatore della psicologia del profondo, la chiama la ghianda: l’immagine di cui siamo fatti.


Ricalcando la teoria di Platone, che  sosteneva che siamo costituiti di immagini date a priori, Hillman sostiene che già prima della nascita possediamo un’immagine che ci rappresenta: la ghianda, che è potenzialmente una quercia. Così la nostra immagine “a priori” è tutto ciò che siamo e a volte ci vuole buona parte della nostra vita per intravederla e farla vivere.


Quante volte da bambini, da ragazzi e anche da adulti abbiamo immaginato la nostra vita futura?


Qua e là, sparsi, dei bagliori di presagi ci dicevano quale sarebbe stata la nostra vocazione, la nostra identità, il nostro percorso, ma eravamo troppo impegnati ad ascoltare le offese precoci e coloro che ci disegnavano secondo i loro paradigmi, tanto da allontanarci da quell’immagine innata. Siamo stati derubati della nostra vera identità, dell’immagine interna chiamata destino. Ci siamo sentiti come orfani del senso della nostra vita.


Sostiene Hillman “[…] che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di essere vissuta.” (James Hillman)

Ogni persona, quindi, è portatrice di una specificità e ha il diritto e anche il dovere di far sbocciare il suo seme, perché è l’immagine stessa che lo richiede attraverso sintomi diffusi nel corpo e nell’anima. L’immagine rivendica il suo diritto di essere vissuta attraverso l’inquietudine, una continua insoddisfazione, la sensazione di sentirsi inutili, incompleti, mancanti.


La ricerca spasmodica di significati, di un senso alla nostra quotidianità sono messaggi forti e chiari del “Daimon” che ci spinge dal didentro a superare i nostri limiti, a scardinare porte per immergersi in cose diverse dal solito; quando si è improvvisamente attratti da tutto ciò che non è stato ancora esplorato, l’immagine ci sta guidando verso quello che, apparentemente, è ignoto, ma in verità e già ben conosciuto.


Quell’immagine o disegno eternamente presente dentro di noi può rivelarsi in modi bizzarri: attraverso un sogno, un’ispirazione improvvisa, una passione nata dal nulla, scelte di vita fatte seguendo solo una sensazione, attraverso un incontro casuale che interferisce nella nostra vita; questi sono i segnali che, seppur vissuti con riluttanza, ci stanno mettendo di fronte ad un qualcosa da compiere. Non importa quanta resistenza faremo, prima o poi verrà fuori, nonostante le paure.

Lo sviluppo della ghianda: dal vittimismo alla creazione

Affinché la ghianda fiorisca, si sviluppi è però opportuno fare un passaggio esistenzialmente importante: uscire fuori dalla convinzione che noi siamo il risultato e la sintesi dell’ereditarietà dei nostri genitori, dell’ambiente in cui siamo nati e cresciuti, della cultura, dell’educazione, dell’influenza dei nostri maestri, perché, così facendo, rinunciamo alla nostra unicità a favore di una visione molto più riduttiva. 


Io sono molto di più e ben diverso rispetto a tutti i colpi che la vita mi ha inferto, il mio passato ha contribuito a costruire la mia personalità, potrei dire quasi che tutto ciò che è stato è un dono. Nel bene e nel male il mio  passato mi ha dato qualcosa, è stato un rodaggio che mi ha portato fin qui. Ma, soprattutto, non sono il risultato di un mescolamento di geni e di ciò che i miei genitori hanno fatto oppure non fatto, perché in tal caso sarei solo una vittima di queste forze. E si sa, la vittima è passiva, subisce la vita, non la vive, non la determina, non ha alcuna responsabilità e pertanto nessun potere su se stessa. Questa teoria ci priva di ogni possibilità di trasformazione.


In questo caso l’immagine, date le nostre scelte vittimistiche, continuerà a muoversi per farsi sentire, ma per noi sarà solo una grande sofferenza, perché non le daremo un varco per respirare.


La ghianda si manifesta nelle nostre creazioni. Si manifesta in un’improvvisa illuminazione, quando veniamo catturati inaspettatamente da un’immagine o da una persona, dalle nostre scelte bizzarre. Chi non ha mai avuto, almeno una volta nella vita, una sorta di illuminazione che l’ha condotto dove si trova adesso?


Dovremmo dare più attenzione alle immagini che navigano nella nostra mente.

Per esempio: Steve Jobs o Leonardo da Vinci hanno immaginato quello che hanno creato, la differenza sta nel fatto che hanno creduto in quello che vedevano e hanno trasformato le immagini in progetti realizzabili e poi in realtà.


Anche i pubblicitari sono ben consapevoli del potere dell’immaginazione e della sua suggestione su un individuo, che fa nascere desideri o bisogni non autentici.

“L’immaginazione, nel senso preciso di funzione evocatrice e creatrice di immagini, è una delle più importanti e più spontaneamente attive, in entrambi i suoi aspetti, cosciente e inconscio. Perciò è una delle funzioni che deve venir regolata quando è eccesiva o dispersa; venir sviluppata quando è debole o inibita; e poi ampiamente utilizzata dalla sua grande potenza.[…] è uno dei mezzi migliori per giungere alla sintesi delle diverse funzioni” (Roberto Assagioli).

L’immagine primigenia in Arte Terapia

Come possiamo scorgere, in Arte Terapia, la nostra immagine primigenia?

 

Attraverso i prodotti artistici, le immagini rivelano, come tanti puzzle, chi siamo e dove stiamo andando. Dovremmo avere la capacità di allontanarci da ciò che vediamo, allontanarci da ciò che pensiamo di noi, dal nostro io e avere una visione come dall’alto, più ampia, come con i tarocchi. Perché i tarocchi dovrebbero avere il potere di predire il futuro e i nostri disegni no? Non contengono, forse, già tutti segni, i simboli e le immagini di ciò che vive dentro?


I tarocchi si avvalgono di immagini archetipali, anche i nostri disegni lo fanno.

 

L’Arte Terapia  può essere un lavoro iniziatico se riusciamo ad osservare i prodotti artistici con uno sguardo ampio, esteso, direi cosmico. E se nel percorso arte-terapico mettiamo insieme i disegni fatti in momenti diversi, questi ci appariranno come un cammino, ci illumineranno la strada, donandoci più consapevolezza.

“L’impegno iniziatico consiste nell’unire tutti i frammenti fino a ricostruire l’unità” (Alejandro Jodoroswsky). 

 

L’immagine è un ponte tra il mondo interiore e il mondo esterno, tra sé e gli altri e in una persona la comunicazione tra i due mondi può avvenire spontaneamente, attraverso i sogni, oppure può essere sollecitata attraverso l’immaginazione, per esempio per mezzo delle visualizzazioni guidate.

 

L’immagine, unità elementare dell’immaginazione, originaria ed universale funzione dell’essere umano, rappresenta la prima forma di comunicazione.

 

La relazione interpersonale risente del nostro personale registro immaginativo: l’immagine che ci siamo creati di noi stessi attraverso la nostra storia personale, quella che vogliamo dare di noi agli altri, l’immagine che abbiamo degli altri, comprensiva  spesso di proiezioni, aspettative, identificazioni, introiezioni, l’immagine che riteniamo gli altri abbiano di noi o si aspettino da noi, quella che suscitano in noi; tutto ciò determina fortemente la nostra singolare visione del mondo e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri.

Tutte queste immagini, inoltre, si trasformano nel tempo con una straordinaria mutevolezza, a seconda del momento storico, dello stato d’animo, del contesto relazionale, del percorso evolutivo della persona.

 

Le nostre immagini interiori, spesso in sincronicità con le immagini che ci colpiscono dal mondo esterno, ci mettono in comunicazione con il Sé, ci dicono a che punto siamo del nostro percorso evolutivo esistenziale, dove incessantemente impariamo a conoscere meglio e ad esprimere la nostra individualità e universalità.

 

In Arte Terapia, come si è già detto, spesso l’immagine che emerge, soprattutto in un contesto relazionale terapeutico, diventa contenitrice, mediatrice e sublimatrice della sofferenza: l’angoscia, la depressione, il sintomo fisico diventano più facilmente tollerabili e comunicabili se espressi attraverso una metafora, un’immagine simbolica; il sintomo stesso è un linguaggio simbolico, che invita per questa via ad ascoltare il malessere più profondo che la persona non riesce a comprendere e ad esprimere con le parole.


Diventa allora importante, al fine di cogliere qualcosa dell’altro e stabilire una relazione di empatia, entrare nella sua simbolica, accogliere con rispetto questo suo linguaggio immaginativo, che gli permette di difendersi, di esistere, di stabilire una relazione col mondo esterno.

Entrare nel mondo personale e immaginativo dell’altro, infine, attiva un lasciarci penetrare a nostra volta, in un rapporto di circolarità relazionale, creando un movimento nel nostro personale mondo immaginativo.

 

Bibliografia:

“il codice dell’anima”, James Hillman

“La via dei Tarocchi”, Alejandro Jodorowsky

“Principi e metodi della psicosintesi terapeutica”, Roberto Assagioli

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