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Il counseling: tra storia ed attualità
Il counseling:tra storia ed attualità
In questo mio articolo cercherò di descrivere brevemente la storia del counseling e i suoi strettissimi rapporti con la psicologia umanistica, di darne ed analizzarne una definizione e di distinguerlo da altre forme di relazione d’aiuto.
Cenni storici
Dal punto di vista storico, il counseling ha radici anglosassoni, sia inglesi che americane, i cui primi antenati possono essere considerati gli psicologi americani Frank Parson, che nel 1913 fondò a Boston il Centro di
Counseling per attività di orientamento in ambito scolastico ed accademico, e successivamente J. Mckeen Cattel che nel 1921 fondò la Psycological Corporation, un istituto che forniva consulenze psicologiche in ambito industriale e che ebbe un notevole sviluppo nel corso degli anni successivi. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, alla fine della prima Guerra mondiale hanno inizio una serie di attività di consulenza e assistenza psicologica rivolta ai reduci, per consentirgli un positivo reinserimento sociale, esperienza che verrà ripetuta e allargata nel secondo dopoguerra.
Ma è tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta del Novecento che possiamo far risalire la nascita ufficiale del Counseling, così come noi lo conosciamo, con la pubblicazione di due volumi fondamentali, l’Arte del Counseling di R.May del 1939[1] e Psicoterapia di consultazione di C. Rogers pubblicato nel 1942[2], che rappresentano anche due pietre miliari della nascente Psicologia Umanistica, detta anche terza via ( terza, appunto, perché si inserisce, distinguendosi, dalle altre due teorie fino ad allora dominanti, la psicoanalisi da una parte, l’approccio cognitivo- comportamentale dall’altro). La nascita di questa terza forza della psicologia, diede un grande impulso allo sviluppo del counseling, tanto che tale concetto ed il modello della psicologia umanistica procedono di pari passo e che quest’ultima rappresenta il quadro teorico di riferimento al counseling contemporaneo.
La Psicologia umanistica si caratterizza per considerare l’Essere Umano come agente libero e responsabile delle proprie scelte e della propria vita, <>[3], in altri termini, viene ridata voce ed importanza al soggetto che diventa il principale protagonista del proprio percorso di crescita, tanto che, soprattutto grazie a Rogers, la persona smette di essere definito paziente, cioè un soggetto passivo che recepisce le istruzioni e le cure del professionista, ma diviene cliente, cioè un individuo responsabilizzato e protagonista del percorso terapeutico ed il professionista non è più il depositario della verità e quindi guaritore, ma diventa un facilitatore del processo di cambiamento sollecitando le potenzialità già presenti nella persona. Di questa nuova ed ampia area psicologica e culturale, oltre ai già citati Rogers e May, esponenti importanti possono essere considerati A. Maslow, con la sua famosa gerarchia dei bisogni umani, R. Assagioli fondatore della Psicosintesi terapeutica, F. Perls fondatore della Terapia della Gestalt ed Eric Berne fondatore dell’Analisi Transazionale.
In questo modo, influenzato e sostenuto dalla Psicologia Umanistica, il counseling è venuto affermandosi come processo relazionale, con una sua specificità, mirato a promuovere nel cliente-richiedente le capacità necessarie atte a favorire soluzioni coerenti, personali ed innovative dei problemi posti e vissuti.
A partire dagli anni settanta, esso si diffonde rapidamente soprattutto in Gran Bretagna nell’ambito del sostegno ai Servizi sociali e al volontariato, successivamente è stato utilizzato, sempre nel mondo anglosassone, anche nell’ambito scolastico per facilitare l’inserimento dei nuovi allievi, nei servizi di salute mentale come verifica per poter successivamente applicare una terapia più approfondita, nei centri di consulenza post-matrimoniale, nella formazione, in ambito aziendale.
In Italia, il counseling arriva soltanto a partire dagli anni novanta, subendo un forte impulso dal dilagare dell’emergenza Aids, quindi il primo ambito applicativo risulta essere quello socio-sanitario. In questo ambito vennero attivate sia iniziative di formazione al counseling per tutti gli operatori, professionisti e volontari, che si occupavano di tale problematica, sia attività di counseling vero e proprio agli ammalati, ai loro familiari, a persone che avevano comportamenti a rischio ecc.
Da tale ambito, molto specialistico, il counseling in Italia si è successivamente allargato anche all’ambito educativo- formativo, in particolare per quanto riguarda l’orientamento, a quello aziendale e a quello sociosanitario in genere.
Definizione e differenze con le altre forme di relazioni d’aiuto
Dare una definizione univoca, precisa ed unanimemente condivisibile del concetto di counseling non è affatto facile, sia perché i suoi ambiti di applicazione sono ipoteticamente molto vasti, sia perché in molti Paesi ( compresa l’Italia) tale professione non è ancora legalmente riconosciuta, ciò spiega perché, infatti nell’arco di questi anni sono state date diverse definizioni di counseling; in questa sede io utilizzerò la definizione proposta dall’Associazione Britannica di Counselling (BAC), la più antica ( è stata fondata nel 1976) e prestigiosa Associazione di categoria nell’ambito del Counseling:
<< il counseling è l’uso, professionale e regolato da principi, di una relazione, nell’ambito della quale il cliente è aiutato nel processo finalizzato a facilitare una migliore conoscenza di sé e l’accettazione dei propri problemi emotivi ed a portare avanti la propria crescita emozionale e lo sviluppo ottimale delle proprie risorse personali. Lo scopo finale è di fornire al cliente un’opportunità di vivere in modo soddisfacente ed in base alle proprie risorse. La relazione di counseling può variare a seconda dei bisogni, ma riguarda comunque i compiti evolutivi ed è rivolta a risolvere problemi specifici, a pendere decisioni, a fronteggiare momenti di crisi, a sviluppare un insight personale ed a migliorare le relazioni con le altre persone. Il ruolo svolto dal counselor è quello di aiutare il cliente rispettando i suoi valori, le sue risorse personali e la sua capacità di autodeterminarsi>>.
Da tale definizione, complessa, articolata e non banale possiamo svolgere alcune puntualizzazioni e tentare qualche riflessione.
Intanto, possiamo dedurre che nel processo di counseling, la relazione che si instaura tra cliente e counselor, oltre ad essere importante, è lo strumento di lavoro per eccellenza, quindi << il counselor è un esperto di relazione e comunicazione>>[4] e non ( come a volte qualcuno, erroneamente, pensa) un esperto risolutore di problemi, né tantomeno un ferrato psicopatologo. Inoltre, possiamo affermare che il counseling è un processo, cioè la relazione che si instaura non è statica e definita una volta per sempre, ma essa è dinamica, mutevole, si trasforma nel tempo, ed in tale contesto uno dei compiti fondamentali del counselor è proprio quello di far sì che l’individuo si senta << accettato, compreso e libero di esprimere la propria individualità>>[5]. Infine, possiamo evincere che il counseling non si propone né di curare l’individuo, né tantomeno di affrontare problematiche legate a forme importanti di psicopatologia, ma di aiutarlo nel proprio cammino di crescita favorendo una più adeguata gestione dei conflitti e dei problemi , connessi sia a passaggi evolutivi sia a problemi specifici, che nella normalità odierna un individuo si trova a dover affrontare, spesso, da solo.
Se quindi, il counseling è ciò di cui abbiamo parlato nelle righe precedenti, possiamo ora cercare di distinguerlo da altre professioni e professionisti che a loro volta si occupano di aiuto psicosociale, tra cui la psicoterapia, la psichiatria, il lavoro sociale.
Nella psicoterapia, a differenza del counseling, normalmente <>[6], quindi l’area d’intervento sarà quella del disagio psichico e tendenzialmente lungo e particolarmente impegnativo ( anche se, sulla durata, vi possono essere differenze anche molto significative in relazione all’approccio scelto, dai molti anni della psicoanalisi classica, ai tempi dell’approccio cognitivo comportamentale) rispetto ad un percorso di counseling che, trattando di problemi tendenzialmente specifici ed avendo obiettivi precisi è un processo meno profondo e radicale, decisamente più breve e circoscritto ( dieci-dodici incontri).
La psichiatria, come è noto, è quella branca della medicina che si occupa dello studio, descrizione e trattamento dei disturbi e delle malattie mentali; si rivolge quindi a persone che soffrono di problematiche molto complesse, profonde e spesso invalidanti ( forme psicotiche, disturbi ossessivi compulsivi, depressioni maggiori ecc.). Lo psichiatra, essendo un medico, può, a differenza dello psicoterapeuta non medico e del counselor, prescrivere psicofarmaci per la cura dei propri pazienti.
Chiaramente, rispetto al counseling vi sono delle notevoli differenze in quanto quest’ultimo è rivolto a persone fondamentalmente sane che vivono momenti transitori di difficoltà, mentre la psichiatria si rivolge a persone che vivono sofferenze strutturali molto intense, che si cercherà di alleviare sia psicofarmaco- logicamente sia con un sostegno psicologico. Nel lavoro sociale possiamo trovare alcune similitudini con il counseling, gli interventi condividono il fatto di essere entrambi relazioni d’aiuto, che possono essere definiti come << relazioni in cui uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato … situazioni in cui uno dei partecipanti cerca di favorire nell’altro una maggiore valorizzazione delle risorse personali del soggetto e una maggiore possibilità di espressione>>[7], infatti sia nel lavoro sociale, tipico dell’assistente sociale, sia nel counseling si lavora affinché l’individuo possa recuperare le proprie potenzialità e si possa avviare verso una vera autonomia; la differenza fondamentale sta nel fatto però, che il lavoro sociale << è direttamente focalizzato non sulle dimensioni interne della persona quanto piuttosto su quelle esterne del comportamento e delle abilità di vita>> [8],cioè interviene soprattutto sulla dimensione del contesto di vita della persona e della sua famiglia, cosa che invece non interessa direttamente il percorso di counseling, che invece diviene trattamento d’elezione dove esiste una problematica, legata ad una situazione specifica o ad una fase del ciclo di vita. Ora, prima di addentrarci nel descrivere le caratteristiche ed il processo del counseling, vorrei provare a riflettere sul perché proprio oggi un metodo come quello del counseling diviene importante, e teoricamente rispondente a molti bisogni delle persone. Oggi, infatti viviamo in un mondo ad altissima complessità ( aumento esponenziale delle chance di vita rispetto a quelle concretamente realizzabili), contingenza ( le scelte divengono sempre più possibili e molteplici) e flessibilità, dove l’ampliamento delle tecnologie informatiche ha dato la possibilità di aumentare a dismisura i possibili contatti relazionali, che però divengono “un mordi e fuggi” a discapito dell’impegno in relazioni significative, tutto accompagnato dal fatto che la consistenza della civiltà contadina e la sua capacità di gestire molte delle difficoltà quotidiane con la larghezza delle reti sociali e familiari, e le insidie dei passaggi evolutivi attraverso la ritualizzazione mitopoietica di momenti collettivi[9], si è completamente dissolta in quella che, con molto acume, è stata definita società evanescente[10], dove <>[11].In un sociale di questo tipo il sentimento più probabile e diffuso sarà quello di una profonda ed imponente solitudine, ed una crescente difficoltà a districarsi nei problemi emotivi connaturati all’esistenza umana; da qui credo sia più facile comprendere il senso e l’importanza di percorsi, progetti ed opportunità di un metodo così attento alle risorse personali come quello del counseling.
[1] R. May, L’arte del counseling, Astrolabio, Roma, 1991.
[2] C.R. Rogers, Psicoterapia di consultazione, Astrolabio, Roma, 1971.
[3] M. Danon, Counseling,Red Edizioni, Milano, 2009, pag.17.
[4] V. Calvo, Il colloquio di counseling,Il Mulino, Bologna, 2007, pag.18.
[5] V. Calvo, Op. cit.,pag.18
[6] L.Marchino-M.Mizrahil, Counseling, Frassinelli, Milano,2007, pag.4.
[7] C.R. Rogers, La Terapia Centrata sul Cliente ,Martinelli, Firenze,1970, pag.68.
[8] F.Folgheraiter, La Relazione d’aiuto nel counseling e nel lavoro sociale,pag.17, introduzione a R. Mucchielli, Apprendere il counseling, Erickson,Trento,1987.
[9] Cfr.,G.Piazzi, Il Principe di Casador, Quattroventi, Urbino, 1999.
[10] Cfr. G.Piazzi, La Ragazza e il Direttore,Angeli, Milano, 1995.
[11] Z.Bauman, La società dell’incertezza,Il Mulino, Bologna, 1999, pag.65.