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Arte Terapia Transculturale

di Annica Cerino

Le immagini uniscono laddove, a volte, le parole dividono; poche cose, infatti, sanno superare i confini culturali come l’arte figurativa. Altre culture possiedono, altri simboli, altre immagini, con significati diversi, ma dietro ai quali è possibile intravedere, spesso, qualcosa di universale. È a questo elemento universale, che si potrebbe definire propriamente umano al di là dei confini geografici, che l’arte terapia transculturale fa riferimento nei suoi percorsi.

 

Oltre l’apparente diversità dovuta alla lontananza culturale, l’arte di popoli lontani può “parlare” all’uomo occidentale, mettendolo di fronte a parti di sé dimenticate e che mai potrebbe ritrovare nell’arte del suo Paese; in questo senso il rapporto, a volte l’impatto, con il diverso può contribuire enormemente alla conoscenza di sé, oltre che all’avvicinamento rispetto a ciò che si crede lontano.

 

Il seminario di Arte terapia transculturale, dunque, si prefigge di aprire una finestra su un linguaggio simbolico, grafico ed iconico lontano dalla nostra cultura nazionale ed occidentale. Attraverso di esso si percorrerà il mondo figurativo e culturale di altri Paesi e verrà di volta in volta valorizzata e rispettata la pluralità dei modi di esistenza umana. Verranno, inoltre, dati gli strumenti necessari affinché un professionista dell’aiuto possa creare un ponte tra il proprio mondo e quello dell’altro.

 

Comprendere l’alterità, anche nell’arte, non è sempre immediato e privo di rischi di fraintendimento, è per questa ragione che l’incontro con una produzione artistica radicalmente differente va preparato con cura, in modo tale che, nonostante le diversità, vi possa essere pieno riconoscimento reciproco. Al pari degli altri popoli, anche il nostro è etnicamente connotato e l’illusione di essere degli osservatori neutrali è destinata ad infrangersi contro tutto ciò che ci appare strano, inspiegabile e irrazionale e che, alle volte, si presenta ai nostri occhi addirittura come ostile.

 

Come sostiene Piero Coppo, “Noi siamo etnici proprio come tutti gli altri: la questione che si pone a valle di questa constatazione non è più come civilizzare, a partire da un’unica sorgente, il genere umano; ma come contribuire a creare condizioni perché popoli diversi, con i loro specifici mondi, tradizioni e culture, possano coesistere e collaborare a fare un mondo plurale, evitando fin dove è possibile il ricorso alla guerra”.

 

L’obiettivo di creare un mondo plurale, in cui ciascuno è altro per l’altro ed è consapevole di questo rapporto sostanzialmente paritario, può essere raggiunto in maniera più efficace se si riconosce il diverso, nonostante le sua alterità, prima di tutto come umano. Se quest’ultimo fatto fornisce la base imprescindibile per la reciproca accettazione e per la deposizione delle armi, il riconoscimento della differenza può avere anche un ulteriore risvolto: l’arricchimento.

 

Le antiche istanze di presunta civilizzazione portavano ad una riduzione dell’altro a sé, sulla base di una superiorità altrettanto presunta del mondo occidentale. Rinunciare a civilizzare, invece, significa riconoscere che l’altro è portatore di un bagaglio ricco tanto quanto il proprio, dal quale si può trarre insegnamento; inoltre, sulla base della comune umanità, da quell’alterità si può pensare di giungere in regioni inesplorate del proprio essere. L’arte differente può mostrarci non soltanto quello che non riusciamo a dire con le parole, ma anche quello che la nostra arte, in quanto anch’essa “etnica”, non riesce ad esprimere. In altri termini gli strumenti dell’arte di altri popoli possono esprimere emozioni che noi non riusciamo ad esternare in alcun modo.

 

Pablo Picasso, com’è noto, attinse ampiamente all’arte africana, un’arte ritenuta “incivile”, tanto che le mostre di maschere e altri manufatti spesso servivano proprio a sottolineare la superiorità del mondo europeo “civilizzato”. Su Picasso, però, quelle esposizioni fecero ben altro effetto, l’arte africana gli trasmise sensazioni che mai prima aveva provato, al punto da farla propria ed esprimere, tramite la riproduzione nei suoi quadri di volti pressoché simili alle maschere tribali, una gamma di emozioni uniche e irripetibili. Si può dire che Picasso non sarebbe mai stato se stesso senza l’incontro con quell’arte radicalmente diversa.

 

L’arte, quindi, fa da ponte tra le culture, aiuta i popoli ad avvicinarsi e, laddove occorre, ad aiutarsi reciprocamente. Non sempre è facile, infatti, decifrare il malessere altrui, nel momento in cui non si riesce ad inserirlo entro confini già noti; la stessa cosa si può dire dei disagi, delle malattie mentali.

 

Come sostiene ancora Piero Coppo nel suo saggio Etnopsichiatria, quello di malattia mentale non è affatto un concetto assoluto, cambia a seconda della visione del mondo di un popolo, a seconda della sua cultura. Per stabilire una relazione d’aiuto con il diverso, pertanto, è necessario tener presente prima di tutto questo: per aiutare bisogna abbandonare il porto sicuro delle proprie convinzioni, avventurarsi metaforicamente in terra straniera e accogliere il mondo dell’altro.

 

Esistono malattie, ma anche semplicemente emozioni e sensazioni, alle quali l’uomo occidentale non sa dare un nome; grazie all’immagine e alla simbolizzazione l’arte può accorciare le distanze, aiutare a comprendere, a far propri elementi che in superficie possono apparire del tutto estranei, ma che nella realtà contribuiscono ad arricchire il proprio mondo interiore oltre che a rendere concreta la possibilità dell’aiuto.

 

Il Seminario di Arte terapia transculturale si propone proprio questo obiettivo, fornire gli strumenti per superare le barriere culturali, la qual cosa equivale a dare origine ad un circolo virtuoso, all’interno del quale, a trarne beneficio, è sia chi aiuta che chi è aiutato.

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